Racconti misteriosi
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Napoli città di mare, di luce e nello stesso tempo di cavità sotterranee, con una grande identità culturale e artistica incisa nelle pieghe dei suoi tanti musei, castelli, chiese, piazze, vicoli e resti archeologici. Città in cui proprio la cultura, l’arte e la luce si mescolano con il buio dei racconti misteriosi che avvolgono tanti luoghi.
I Simboli della Chiesa del Gesù Nuovo
I simboli sulla facciata della Chiesa del Gesù Nuovo sono stati a lungo interpretati in senso esoterico, come simboli misteriosi, che dovevano far convogliare all’esterno le energie negative. La primitiva ipotesi, più realistica, che riguardava questi strani simboli è che le pietre fossero state contrassegnate per indicare le diverse cave di piperno dalle quali provenivano. Una recente ricerca durata ben sei anni, opera dello storico dell’arte napoletano De Pasquale, ha portato ad una scoperta straordinaria. Con l’aiuto di uno studioso di aramaico ha notato una corrispondenza tra i simboli e le lettere dell’alfabeto aramaico. Inoltre i simboli erano solo sette proprio come le note musicali. De Pasquale ha ipotizzato allora che sulla facciata della chiesa fosse stata incisa una melodia. Del resto, i Sanseverino proprietari del palazzo omonimo dal quale fu ricavata la chiesa del Gesù, fecero incidere dei simboli musicali anche nel loro palazzo a Lauro di Nola. In più un codice armonico misterioso è presente anche sulla facciata di palazzo Farnese a Roma. Ogni lettera dell’alfabeto aramaico viene fatta concordare con una nota ed ecco viene fuori uno spartito risalente al 1500! La scoperta di una melodia alla quale è stato dato il nome di Enigma e che da secoli aleggia sulle nostre strade in religioso silenzio. Con la speranza che possa essere presto suonata al pubblico con strumenti moderni. In fondo quei suoni armoniosi sono stati lì in silenzio a guardare per più di 500 anni. E’ ora che qualcuno li ascolti.
Il Fantasma di Maria d'Avalos
Nelle notti buie, quando la città dorme, il fantasma di Maria D’Avalos si aggira irrequieto. Nella centralissima Piazza San Domenico, in cui sorge il celebre palazzo di Sangro dei Principi di Sansevero per anni, l’urlo agghiacciante della bella e sfortunata Maria, ha raggelato il quartiere. Il 17 ottobre 1590, gli amanti Maria D’Avalos e Fabrizio Carafa, si incontrarono in una delle stanze del celebre palazzo S. Severo. Carlo Gesualdo, marito di lei e principe di Venosa, finse di partire per ritornare, a notte fonda, nella speranza di trovare la donna sola e fugare così le dicerie sul suo adulterio. Davanti all’immagine dei due amanti il principe si getta su quei due corpi nudi, uccidendoli. Da allora, nelle notti senza luna, l’ombra evanescente della donna riappare muta. In tanti raccontano di averla vista, bellissima, evanescente, con le lunghe vesti discinte, i capelli scomposti e con il volto dipinto di terrore.
Il Fantasma di Luisa Sanfelice
Il fantasma di Luisa Sanfelice, appare ai napoletani ogni anno, nella notte tra il 10 e l’11 settembre, sempre nel medesimo posto: piazza Mercato. Luisa Sanfelice ritorna da quasi due secoli, a rivendicare giustizia. L’incredibile e triste storia della nobile signora è, forse, una delle più struggenti del confuso e folle ’99 a Napoli. Il suo corpo, due lunghi giorni, penderà dalla forca di piazza Mercato, insieme a quelli di altre decine di condannati politici. Luisa apparteneva a una nobile famiglia napoletana e, almeno per lignaggio e posizione sociale, veniva considerata un’amica del Re. Non a caso, quando i Borboni decidono di distribuire dei lasciapassare, per permettere ai maggiori esponenti monarchici di scappare dall’Italia, ed evitare il probabile massacro repubblicano, uno di questi salvacondotti finì proprio nelle mani della donna. Per la Sanfelice quel “pezzo di carta” può rappresentare la salvezza. Poiché in piena rivoluzione napoletana chiunque fosse sospettato di essere vicino alla monarchia rischiava la forca. Essendo innamorata di un noto avvocato napoletano, esponente della Repubblica, Ferdinando Ferri, decise di assicurare la fuga al suo amante, offrendo al Repubblicano, il prezioso lasciapassare borbonico. Ferri approfittò della situazione, accettando il salvacondotto e denunciando la famiglia Baccher che aveva fatto avere il lasciapassare a Luisa. Appena le truppe borboniche rientrarono a Napoli, Luisa Sanfelice venne arrestata, rinchiusa nel carcere della Vicaria e condannata a morte con l’accusa di alto tradimento. Allora la donna si finse incinta e la sentenza fu rinviata di un anno. Ma il suo inganno venne scoperto. Nonostante l'intercessione della principessa Maria Clementina, fu giustiziata sulla piazza del Mercato di Napoli (ripristinando una consuetudine ormai caduta in disuso) mediante decapitazione l'11 settembre 1800. Aveva 36 anni. Ironia della sorte: l’uomo per il quale la donna morì decapitata dopo essere riuscito a far dimenticare il suo passato repubblicano, incolpando la Sanfelice di aver tramato al suo posto, divenne addirittura ministro delle finanze del nuovo governo borbonico. Da due secoli, ogni anno, la notte in cui venne decapitata, il fantasma di Luisa Sanfelice, con uno squarcio al collo, vaga disperato nella grande piazza, chiedendo giustizia per un destino ingrato: aver amato un uomo crudele.
Il Campanile Infuocato
Il 16 luglio di ogni anno la popolarissima piazza del Carmine ospita una delle feste più importanti della religiosità partenopea: la festa della Madonna del Carmine. Devoti e curiosi affollano la piazza in attesa dell’incendio del campanile della chiesa. Trattasi di un incendio figurato, poiché il campanile viene ricoperto di fuochi pirotecnici, che in un preciso momento, attivati da esperti fuochisti, scoppiano dando luogo ad una vera e propria festa per gli occhi! L’origine di questa festa però non è strettamente legata alla Madonna del Carmine, bensì alle lotte dei cristiani contro i turchi: un tempo questa era la festa dei pescivendoli di Porta Capuana, che rievocavano la Battaglia della Goletta (1574) nella quale i turchi issarono un castelletto poi incendiato dai cristiani, che così riportarono la vittoria. Solo in seguito al castelletto venne sostituito il campanile della chiesa. Infine, tra gli applausi della folla, il suono delle campane scandisce l’apparizione dell’immagine della Madonna Bruna coronata da una stella di fuoco, che compie il miracolo spegnendo l’incendio.
Il Giovane Corradino e il Furto Mancato
Corradino, ricordato dalla storia con un sentimento di affetto proprio considerando la sua giovane età e la fine terribile a cui fu condannato, dopo la morte dello zio Manfredi (sconfitto da Carlo I d'Angiò nella Battaglia di Benevento nel 1266) a Corradino fu chiesto di riconquistare il suo regno. Entrò senza ostacoli e fu accolto calorosamente, ma giunto a Tagliacozzo trovò il nemico accampato; lo scontro fu cruento e vide la disfatta dell'armata di Corradino, che riuscì a mettersi in salvo insieme all'amico Federico d'Austria fuggendo verso le paludi pontine. Furono però riconosciuti e consegnati nelle mani di Carlo d'Angiò, che con sommario processo li condannò alla pena capitale eseguita mediante decapitazione il 29 ottobre 1268. I corpi dei giovani furono dapprima gettati in un fosso coperto da pietre, poi grazie alle preghiere dell'Arcivescovo di Napoli, le loro salme furono sepolte all'interno della chiesa del Carmine. Nel 1670, dovendosi abbassare il pavimento della chiesa, furono trovate due casse di piombo: una portava l'iscrizione Regis Corradini Corpus, all'interno avvolto in un lenzuolo usurato dal tempo, lo scheletro con il teschio sul petto e una spada al fianco. Nel 1847 Massimiliano II di Baviera fece erigere il monumento a Corradino, disegnato dal danese Bertel Thorvaldsen e al suo interno furono poste le ossa che fino ad allora avevano riposato nel cappellone della Madonna. Nel settembre del 1943 si presentò in chiesa un gruppo di soldati tedeschi intenzionati a portare via i resti mortali di Corradino (addirittura pare, su espresso orine di Hitler) e intimarono padre Elia Alleva (unico religioso rimasto in custodia del tempio) di mostrargli il luogo della sepoltura. Il religioso pensò bene di portarli nel luogo ove si trova ancora oggi la lapide, frantumata e mutila delle parti che hanno indotto all'errore. Il sesto rigo, infatti inizia con le seguenti parole: il piedistallo. Manca evidentemente la parte precedente; secondo uno studioso la parola mancante è dietro, ma in realtà dovrebbe essere dentro il piedistallo. I tedeschi interpretarono la lapide mutila secondo le indicazioni dello studioso, tolsero il cancelletto che è davanti al monumento e spostarono la statua con tutto il piedistallo due o tre metri dal suo posto. Furono spezzate le tre lapidi che erano a terra ma senza trovare niente; non si arresero e fecero anche un grosso buco nel muro del pilastro alle spalle del monumento, anche stavolta senza esito positivo. Andarono via e oggi le ossa di Corradino riposano ancora nel piedistallo della statua!
Il Miracolo del Crocifisso del Carmine
Il miracolo del crocifisso è legato alla lotta, nel secolo XV, tra gli Angioini e gli Aragonesi, per il dominio di Napoli. Renato d'Angiò, che dominava a Napoli, aveva collocato le sue artiglierie sul campanile del Carmine, trasformandolo in vera fortezza, Alfonso V d'Aragona invece assediò la città, ponendo l'accampamento sulle rive del Sebeto, nelle vicinanze dell'attuale Borgo Loreto. Il 17 ottobre 1439, l'infante Pietro di Castiglia fece dar fuoco a una grossa Bombarda la cui grossissima palla, (ancora conservata nella cripta della chiesa), sfondò l'abside della chiesa e andò in direzione del capo del crocifisso esposto in chiesa che, per evitare il colpo, abbassò la testa sulla spalla destra, senza subire alcuna frattura. Il giorno seguente, mentre l'infante Pietro dava di nuovo ordine di azionare la Bombarda, un colpo partito dal campanile, gli troncò il capo. Re Alfonso tolse allora l'assedio, ma quando, ritornato all'assalto nel 1442, il 2 giugno entrò trionfalmente in città, il suo primo pensiero fu di recarsi al Carmine per venerare il crocifisso e, per riparare l'atto del defunto fratello, fece costruire un sontuoso tabernacolo che dovesse ospitare il Crocifisso. Da allora, l'immagine viene svelata il 26 dicembre di ogni anno e resta visibile ai fedeli per otto giorni, fino al 2 gennaio.
La Chiesa di San Giovanni a Mare
La chiesa, fu così denominata perché quando fu costruita nel XII secolo il mare ne lambiva quasi le mura, ma essa è ricordata soprattutto per l’omonima festa. Proprio vicino alla chiesa, a partire del 1448 si celebrava la festa di San Giovanni, da qui la sera precedente il 24 giugno, partiva la processione caratterizzata da una particolare commistione di rituali cattolici e pagani. Le donne, infatti ricordavano il battesimo che Cristo fece a San Giovanni, spogliandosi completamente ed immergendosi nell’acqua purificatrice. Un bagno notturno, che coinvolgeva poi tutti i partecipanti alla processione fino a sfociare in autentiche orge. A tale proposito sarebbe interessante ricordare la celebre opera di Roberto De Simone, “La gatta Cenerentola” che così ne parla: “ Tutte ‘e femmene stanno annure/ stanno annure e senza ‘e panne/ mò ch’è a festa ‘e San Giuvanne”. La pratica del bagno fu abolita dalla chiesa durante il regno di Carlo III di Borbone, e rimase solo la festa religiosa, nell’antica chiesa medievale.
La nobiltà Punita
La più antica costruzione angioina a Napoli, la chiesa di Sant’Eligio, (1270) caratterizzata dalla presenza del bellissimo arco dell’orologio, porta con sé una leggenda antica ripresa anche da Benedetto Croce. La vicenda è ambientata nel 1500 ed ha come protagonista un nobile della famiglia Caracciolo, Antonello ed una sventurata fanciulla. Invaghitosi di una giovane del popolo, Costanza, coraggiosa a tal punto di non volersi piegare alla passione del nobile, fu costretta a cedere poiché il giovane ne imprigionò il padre con una falsa accusa. La famiglia della giovane chiese giustizia alla regina Isabella d’Aragona, che esercitò tutto il suo potere: fece cercare il ragazzo, e fino a quando non fu catturato ordinò di distruggere le residenze della famiglia Caracciolo, fece dare alla ragazza una buona dote e costrinse il giovane a riparare con il matrimonio, infine, e qui viene la punizione esemplare appena celebrato il matrimonio, lo sposo venne fatto decapitare. In ricordo di questa punizione durissima, ma giusta, furono poste sull’arco dell’orologio due testine di marmo, una femminile ed una maschile barbuta che rappresentano i due protagonisti della storia.